Come riconoscere le zone di divieto di caccia in Italia? In questo articolo vi aiuteremo a capire come riconoscerle nel rispetto delle normative vigenti.

Sapere come riconoscere le zone dove vige il divieto di caccia generalmente è piuttosto immediato infatti, è prevista dalla legge la presenza di chiari cartelli e/o paline in cui dev’essere indicato il “Divieto di caccia” e, a seguire, la relativa motivazione del suddetto divieto.

Le normative di riferimento da considerare per comprendere bene la natura del “divieto di caccia” sono sicuramente l’articolo 842 del Codice Civile e la legge 157/1992.

La 157/1992 infatti definisce la “proprietà” della selvaggina come segue: “La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale“.

Questo aspetto è importante perché differenzia il nostro Paese rispetto a molti altri stati come la Francia o l’Inghilterra, dove la proprietà della fauna coincide con la proprietà dei terreni nella quale essa stessa si trova.

Essendo la selvaggina italiana patrimonio indisponibile dello Stato è lo Stato stesso che attraverso le Regioni ne regola la caccia e la tutelaprevedendo anche le aree dove quest’ultima può essere cacciata e con quali modalità.

Come riconoscere le zone di divieto di caccia?

Quando un territorio ha il divieto di caccia?

Per comprendere quando su un territorio vige il divieto di caccia dobbiamo introdurre l’Art. 842 C/C che specifica che: Il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l’esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno. Egli può sempre opporsi a chi non è munito della licenza rilasciata dall’autorità”.

Gli articoli 21 e 30 della 157/1992 individuano altri territori nei quali la caccia non è consentita e sono: “Giardini e parchi pubblici o privati urbani, aie, cortili, pertinenze di fabbricati rurali, terreni adibiti ad attività sportive, fondi chiusi”, per quanto riguarda le proprietà private.

Mentre per quanto riguarda le aree di interesse collettivo si fa riferimento a “Parchi nazionali, parchi naturali regionali, riserve naturali, oasi di protezione, zone di ripopolamento e cattura, centri di riproduzione di fauna selvatica, parchi storici e archeologici”.

A queste condizioni tipiche la legge prevede condizioni di carattere straordinario nelle quali viene imposto un divieto di caccia provvisorio, ad esempio:

  • su terreni per la maggior parte coperti da neve (la norma varia da Regione a Regione);
  • su terreni percorsi da fuoco generalmente la caccia viene interdetta per 5 o 10 anni, come previsto dall’art. 10 della 353/2000;
  • nel raggio di 100 metri da macchine operatrici agricole in funzione per tutelare l’incolumità degli operatori agricoli.

In questi casi non sempre i cartelli di segnalazione sono previsti data la natura provvisoria del divieto ma le normative non tollerano ignoranza.

Quando vige il divieto di caccia

Nelle aree citate in precedenza il divieto di caccia vige in modo perpetuo, a meno che non venga modificata la natura delle stesse oppure vengano autorizzate attività di controllo della fauna.

In quest’ultimo caso, però, anche se controllo faunistico e attività venatoria sono spesso confusi, non si può parlare di caccia. Infatti, le attività di controllo sono disposte dalle Regioni in particolari condizioni e dopo aver ottenuto il parere favorevole dell’ISPRA.

Durante le ore notturne vige il divieto di caccia su tutto il territorio nazionale e gli orari nei quali la caccia è consentita sono precisamente definiti dal calendario venatorio Regionale. Alcune eccezioni sono rappresentate dalle zone interessate da casi di infezione da PSA (Peste Suina Africana) che richiedono un aumento del prelievo del cinghiale ricorrendo anche alle attività di caccia di selezione e/o controllo nelle ore notturne.

Inoltre, i giorni di martedì e venerdì sono considerati di “silenzio venatorio”, quindi la caccia non è praticabile.

Tutti i divieti vengono precisamente definiti dall’Articolo 21.

Come rimuovere un divieto di caccia?

Togliere il divieto di caccia da un territorio che lo prevede è generalmente impossibile perché, come abbiamo visto, il legislatore impone il divieto stesso quando sono presenti interessi individuali o collettivi da tutelare.

Tuttavia ci possono essere casi in cui questo è possibile, ad esempio:

  • nel caso in cui un fondo chiuso smettesse di esser tale, venendo meno le caratteristiche precise che lo definiscono (es. recinzione in muro o rete metallica o altra effettiva chiusura, di altezza non inferiore a 1.20 metri), allora sarebbe possibile esercitarvi al suo interno l’attività venatoria;
  • in alcuni casi le zone di ripopolamento e cattura vengono modificate, variando la posizione dei loro confini, in questi casi il divieto di caccia viene rimosso e i territori potrebbero tornare cacciabili.

Se si volesse far rimuovere un divieto di caccia credendo di averne ragione gli interlocutori da interpellare saranno sicuramente gli ATC (Ambiti Territoriali di Caccia) o i CA (Comprensori Alpini) e gli sportelli della caccia e della pesca Regionali che valuteranno le richieste in linea con le normative Nazionali e Regionali in vigore.

Conclusioni e consigli

Come abbiamo visto, le norme sono molto precise e tutelano sia la sicurezza delle persone che la possibilità di svolgere l’attività venatoria per chi ne detiene il diritto.

Molto spesso sui siti web di ATC e CA sono disponibili cartografie precise di tutte le zone in cui è consentita l’attività venatoria compresa la perimetrazione delle Aziende Faunistico Venatorie e delle Aziende Agrituristico Venatorie.

In caso di incertezza è sempre bene rivolgersi alle autorità competenti per ottenere dei chiarimenti. È possibile ottenere informazioni dalla Polizia Municipale, Provinciale, dai Carabinieri Forestali oppure dagli Sportelli della caccia e della pesca che ogni Regione possiede.

Riferimenti normativi:

Legge 157/1992

Divieti Art. 21 157/1992

Art. 842 del codice civile

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