Il rapporto tra caccia e agricoltura afferisce a un unico ambito: la gestione del territorio rurale, con i conseguenti benefici che l’attività venatoria e quella agricola possono arrecare l’uno all’altro, anche e soprattutto legandosi al tema della tutela ambientale.

È un rapporto per certi versi complesso e non privo di fattori critici o contraddittori, ma quando le due attività vengono condotte in maniera sinergica possiamo affermare che pure la natura ringrazia.

Gli agricoltori hanno una maggiore sensibilità e predisposizione alla conservazione dell’ambiente rurale. Non è solo per ragioni di business, sebbene rappresenti la principale motivazione, è implicato anche il fatto che esagerando con lo sfruttamento del terreno (grazie a un utilizzo improprio delle nuove tecnologie) si rischia di incorrere in problematiche inerenti tutto il territorio circostante (fauna compresa).
I cacciatori d’altra parte sono a loro volta protagonisti in positivo della tutela ambientale in quanto partecipano attivamente al controllo e alla regolazione equilibrata del numero di animali selvatici. La caccia infatti consente di ridurre i danni che la stessa selvaggina (ungulati in primis) potrebbe causare alle coltivazioni, producendo di conseguenza effetti benefici anche nella filiera alimentare (ovvero dove le carni vengono lavorate e vendute).

L’attività agricola è una fonte alimentare fondamentale per noi come per gli stessi animali che vengono allevati, oltre a fornire insieme alle altre piante e alberi l’ossigeno che respiriamo. Sono evidenze che potremmo ritenere banali e ovvie, ma non è così: forniscono piuttosto la misura di quanto importante (e su più livelli) sia l’agricoltura per noi e per gli animali, allevati o selvatici che siano.

Proprio con gli ultimi però possono emergere diversi problemi di portata notevole e per i quali l’abbattimento tramite attività venatoria rimane una delle soluzioni più efficaci, unitamente alla creazione di barriere per i propri terreni agricoli. Poco o nessun significato hanno nella maggior parte dei casi i reclami ambientalisti, che per una visione ristretta e ideologica non vedono come la caccia sia un aiuto notevole nel prevenire danni agli agricoltori e nel mantenere l’ecosistema in un sano equilibrio.

 

L’apporto benefico dell’attività rurale a quella venatoria

In questo rapporto tra caccia e agricoltura non è unicamente la prima ad apportare benefici alla seconda, ma anche viceversa: la gestione del territorio rurale può infatti migliorare l’attività di caccia al netto dei limiti e divieti territoriali o stagionali. Come è possibile ciò?

Da una parte con la nascita di aziende agri-faunistico-venatorie, come previsto dalla legge 152/92 di cui parleremo in seguito in maniera approfondita, tali realtà si dedicano all’ambiente rurale su più ambiti, tutelando la biodiversità attraverso ricostituzione di habitat, presidio del territorio e le stesse coltivazioni. Senza contare i vantaggi generali al paesaggio agrario, forestale e idrogeologico.

Un discorso a parte merita invece la normativa (842 del Codice Civile) relativa l’accesso ai terreni agricoli privati da parte dei cacciatori (che per certi versi potrebbe limitarne l’azione). Il proprietario infatti non può impedire l’accesso a chi esercita la caccia se non sussistono queste 2 condizioni:

Il terreno è stato chiuso e segnalato secondo i modi stabiliti dalla legge, ovvero tramite muri, reti o altro.
Le coltivazioni presenti sono suscettibili di danno.

In entrambi i casi è così possibile apporre la consueta cartellistica di divieto previo consenso (non scontato) da parte delle autorità locali.

Qual è il rapporto tra caccia e agricoltura?

Rapporto tra caccia e agricoltura: cosa dice la legge?

La legge 157/92 regola le “norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”, stabilendo dunque tutto ciò che concerne l’esercizio della caccia e la tutela degli animali selvatici. L’attività venatoria nello specifico viene programmata tramite i Piani Faunistici Venatori regionali. Vediamo in maniera sintetica i diversi punti.

Territorio
La definizione del territorio dedito alla caccia vede escludere generalmente una percentuale fra il 20 e il 30% dedicata alla protezione della fauna selvatica (in cui sono inclusi parchi, oasi e aree chiuse), mentre un massimo del 15% può essere rivolto a una gestione della caccia privata (quindi eccezionale rispetto alla normale attività). Questo “ambito territoriale” è rilevante, come vedremo dopo, nel nostro discorso sul rapporto tra caccia e agricoltura.

Un aspetto importante deriva dalla suddivisione del “campo di caccia” in ATC, ovvero Ambiti Territoriali di Caccia: il cacciatore deve scegliere una parte dell’area destinata alla caccia, vincolandosi in tal modo a tale determinata zona.

Come cacciare
Al netto della necessario licenza per cacciare, la legge stabilisce e distingue diversi mezzi e modalità con cui praticare l’attività stessa. Nello specifico le armi consentite sono l’arco e il più diffuso fucile, che a sua volta subisce delle restrizioni in base a canna, calibro, cartucce e altri utensili. Un altro mezzo consentito è l’affascinante pratica della falconeria.

Sulle modalità venatorie la legge distingue generalmente fra vagante (diffusa soprattutto sull’arco alpino) e da appostamento (spesso tramite richiami). Una volta scelta la modalità non si può più cambiare (come avviene per il territorio).

Cosa e quando cacciare
L’autorità scientifica in materia di caccia è l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, ISPRA, il cui compito è di fornire indicazioni riguardanti la tutela della fauna e quindi di regolamentare tempistiche e specie da cacciare in base alla popolazione delle stesse o al loro eventuale status protetto.

Il vero e proprio calendario venatorio viene invece deciso dalle singole regioni, tenendo ovviamente conto dei criteri stabiliti dalla legge: generalmente tra la 3a domenica di settembre e fine gennaio, con possibili deroghe per alcune specie (su cui comunque l’ISPRA potrà porre veti o limitazioni) e l’assoluto divieto durante migrazioni, nidificazioni o fasi riproduttive.

Divieti e sanzioni
L’ultima parte della legge inerisce ulteriori obblighi, divieti e le conseguenti sanzioni (penali e/o amministrative) nel caso il cacciatore non segua le disposizioni di legge. Ad esempio la distanza di sicurezza rispetto ai centri abitati, il divieto di utilizzo di automezzi, l’obbligo a stipulare un’assicurazione, ecc.

Particolarmente interessante nel rapporto tra caccia e agricoltura è l’articolo 842 del Codice Civile (precedentemente citato) che, in combinazione con la 157, regola l’accesso dei cacciatori ai terreni privati, per lo più agricoli.

I danni da fauna selvatica

Il beneficio maggiore che l’attività venatoria può portare a quella agricola riguarda in maniera diretta la riduzione dei danni causati dalla fauna selvatica. È un problema che si è aggravato a partire dagli anni ’90 in seguito all’introduzione delle politiche di protezione e tutela degli stessi animali.

Gli ungulati in particolare, prima maggiormente limitati nel nostro paese, hanno vissuto una crescita notevole grazie ai ripopolamenti e alla creazione di nuovi habitat e sono tuttora i principali artefici e causa dei danni ai terreni agricoli. Favoriti anche dall’assenza di predatori (lupi e orsi ad esempio sono tendenzialmente rinchiusi nei parchi o pienamente liberi solo sulle Alpi), sono diventati un problema sempre più rilevante per gli agricoltori e per il loro business, costringendoli a ricorrere a misure di protezione e prevenzione.

Se da una parte le recinzioni possono aiutare a impedire l’accesso ai terreni coltivati da parte degli animali, la miglior risposta a tale problematica risiede nel contenimento e controllo del numero di esemplari e quindi nell’abbattimento tramite caccia.

Purtroppo spesso anche questo non basta e i proprietari sono costretti a richiedere risarcimenti allo stato. Alla luce di un più stretto rapporto tra caccia e agricoltura, sarebbe interessante rivedere le politiche e l’impegno condiviso fra queste due realtà e le associazioni ambientali per regolamentare in maniera differente e più efficace l’attività venatoria, venendo incontro a tutte le istanze. Senza contare poi la conseguente implementazione del commercio di selvaggina, con tutte le sue qualità e tipicità.

Qual è il rapporto tra caccia e agricoltura?

L’impegno dei cacciatori per la conservazione della natura

Stiamo iniziando a comprendere come l’attività sportiva della caccia sia attualmente un argine importante (seppur forse troppo limitato) non solo ai danni che gli animali possono causare alle attività dell’uomo, registrato in particolare nella nostra tematica sul rapporto tra caccia e agricoltura, ma anche alla stessa perdita di biodiversità in cui sono protagonisti.

In questo purtroppo dobbiamo considerarci artefici e causa primaria: non molti sanno che animali quali il daino o il muflone sono considerati alloctoni (non originari del nostro paese e quindi introdotti in passato) e che la loro presenza ingombrante risulta essere un problema per specie endemiche come il cervo o camoscio quando condividono i medesimi spazi (e cibo).

La biodiversità tipica del nostro territorio è un patrimonio da conservare, tanto da essere protagonista di numerosi progetti nazionali e internazionali. Alcuni di questi vedono in prima linea la stessa Federazione Italiana della Caccia (FIDC) che, coinvolta nella FACE (European Federation for Hunting and Conservation), promuove l’iniziativa europea “Strategia per la Biodiversità 2020”, con l’obiettivo di tutelare habitat e specie grazie al contributo degli stessi cacciatori. Il sito dedicato consente di scoprire le sezioni e le numerosissime azioni inerenti il progetto stesso.

Non va poi dimenticato che la stessa Unione Europea è direttamente coinvolta nella conservazione della varietà di ecosistemi minacciati dal cambiamento degli habitat, dallo sfruttamento delle risorse (anche agricole), dall’introduzione di specie esotiche e dai cambiamenti climatici. Tematiche che hanno spinto la Commissione Europea a intraprendere una strategia ad hoc con obiettivo al 2020. Un’azione in cui il rapporto tra caccia e agricoltura diventa occasione di rinascita per tutto la natura che ci circonda.

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