Oggi la fauna selvatica in Italia gode di un regime di protezione che deriva dalla situazione che si era venuta a creare intorno al 1990: per alcune specie che vivevano nei nostri boschi, al limitare di campi e coltivazioni, c’era seriamente il rischio di un’eccessiva rarefazione ed in alcuni casi anche di estinzione. Lì sono nate alcune politiche di protezione che negli anni hanno prodotto frutti da riconsiderare.

Finché alcuni animali, come gli ungulati, erano limitati nel numero degli esemplari e presenti soltanto in determinate aree d’Italia i danni da fauna selvatica in agricoltura erano per lo più contenuti ed erano considerati dagli addetti ai lavori come una componente del gioco, un rischio d’impresa che si assumeva l’agricoltore nel suo lavoro. In molte aree se era evidente l’esubero e i conseguenti danni causati da alcune specie, queste venivano catturate e spostate per andare a rimpolpare la popolazione in altre zone dove questa era carente. Succedeva così per capriolo, il cinghiale ed il cervo per esempio.

Con il passare del tempo però, favoriti dall’assenza di predatori, da questo regime di tutela e dalla disponibilità di aree montane o collinari abbandonate dall’agricoltura, si sono venuti a creare dei nuovi habitat molto favorevoli alla ripopolazione in particolare degli ungulati.

Come gestire i danni da fauna selvatica?

I danni da fauna selvatica in agricoltura oggi invece hanno raggiunto livelli non più sostenibili: la crisi economica obbliga ogni agricoltore ad avere la massima resa da ogni appezzamento coltivato, la compatibilità con la salute del bosco è messa in ginocchio dall’eccessiva presenza di alcune specie e anche la sopravvivenza stessa delle imprese agricole viene compromessa a volte.

Prevenzione e protezione dai danni da fauna selvatica in agricoltura

I mezzi di comunicazione, le associazioni di categoria ed anche gli stessi agricoltori non mancano di denunciare una situazione che ormai sta diventando insostenibile: cerealicoltura, frutticoltura e viticoltura sono sempre più sotto attacco e gestire i danni da fauna selvatica in agricoltura si rivela un problema sempre più pressante.
Numerosi sono oggi i metodi e gli strumenti che vengono proposti e adottati per la prevenzione o la protezione dai danni provocati dagli animali selvatici:

  • Metodi di prevenzione. In questi casi può essere fatta prevenzione soltanto con il contenimento del numero degli esemplari delle specie che danneggiano le colture agricole. Questo diventa impossibile però se l’abbattimento di tali animali è vietato o limitato a cacciatori di selezione che non riescono a contenere il problema.
  • Metodi di protezione. I metodi di protezione propriamente detti hanno la finalità̀ di creare delle “barriere” atte a ostacolare e impedire l’accesso agli animali nelle aree coltivate.

 

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Sono esempi di metodi di protezione:

  • la protezione individuale delle piante,
  • la recinzione in rete metallica,
  • la recinzione elettrificata.

Questi metodi però sono difficilmente applicabili in grandi estensione e soprattutto hanno un costo che finisce per gravare pesantemente sulla resa del prodotto e sulla sua effettiva economicità e capacità di determinare un guadagno per l’agricoltore.

L’attuale normativa (Legge 11 febbraio 1992, n. 157), prevedendo misure di protezione della fauna selvatica, fa esplicito riferimento alla necessità di una sua gestione e tutela, in quanto la fauna selvatica costituisce un patrimonio da tutelare e proteggere, ma si prescrive anche, sempre nell’ambito dei piani faunistici, di definire “i criteri per la determinazione del risarcimento” nel caso di danni prodotti dalla fauna (art. 25).

I danni da fauna selvatica in agricoltura

L’emergenza posta in essere dagli operatori agricoli mette in luce la questione su cosa si possa fare per evitare i danni causati dalla fauna selvatica al loro lavoro. La soluzione che ne emerge implica l’impegno condiviso da tutte le realtà coinvolte, quindi caccia, agricoltura e associazioni ambientali.

È necessario infatti riscrivere alcuni principi della pianificazione faunistico-venatoria del territorio e della programmazione dell’attività venatoria, dove determinante deve essere il problema dei danni da fauna selvatica arrecati all’agricoltura e dove vanno previsti dei nuovi strumenti di tutela e gestione dell’ambiente, anche secondo le ultime disposizioni in materia dettate dall’Unione Europea.

Una sfida importante sarà anche la valorizzazione della multifunzionalità dell’impresa agricola che può offrire un contributo decisivo alla tutela ed al miglioramento degli habitat in cui vive la fauna selvatica. Il mondo agricolo infatti è favorevole alla proposta di rimuovere o modificare alcuni vincoli all’attività venatoria per due motivi fondamentali:

  • aiuterebbe a contenere i problemi causati dalla fauna selvatica (come i cinghiali), una delle voci più sostanziose per quanto riguarda le aziende agricole in fatto danni arrecati.
  • consentirebbe la ricostruzione di un habitat ideale per l’allevamento di fauna selvatica, una possibilità di reddito ulteriore e integrativo per le suddette imprese.

Quantificare i danni non è facile…
La questione dei danni da fauna selvatica in agricoltura è complessa e molto articolata. Come in tutte le situazione sarebbe bene partire da dati certi, ma in questo caso non è facile reperirne.

Coldiretti, la più grande associazione di categoria del mondo agricolo, ha chiesto da tempo un’indagine conoscitiva in grado di quantificare esattamente i dati sui danni da fauna selvatica: ad oggi, stando alla risposta degli enti competenti interpellati, non si riescono ad avere dati certi su scala nazionale, rendendo la definizione del problema molto nebulosa ed incerta.

Bisogna tornare indietro nel tempo per scovare dati che possono far capire quanto grande sia il problema: l’ultimo dato attendibile riscontrato da Coldiretti risale al 2007 basato su un dossier dell’Eurispes che stimava in Italia un danno superiore ai 70 milioni di Euro, mentre, per esempio il computo dei danni relativi alla sola Regione Emilia Romagna, sempre relativamente all’anno 2007, ammontava a più di 8 milioni di Euro.

Sempre secondo le stime dell’Eurispes in Italia negli ultimi dieci anni si sono quasi decuplicati gli animali selvatici, passando dai 123.000 esemplari degli anni compresi tra il 1990 e il 1995, all’attuale stima di un milione. In aumento sono anche il numero delle specie selvatiche, passate dalle settanta del 1991 alle centoquindici del 2000, numero quasi raddoppiato. Anche se questi dati non riescono a darci uno spaccato definitivo della situazione, a causa della difficoltà di avere dati reali, attendibili ed aggiornati dagli enti preposti, viene comunque evidenziato come le specie più dannose per l’agricoltura siano:

  • i cinghiali
  • i cervidi, in particolare il cervo ed il capriolo
  • la nutria
  • i lupi
  • i cani inselvatichiti
  • gli orsi
  • gli storni
  • i piccioni inselvatichiti.

Per cercare dei dati più reali possibili, lontani dalle stime e descrittivi, si possono analizzare quelli che le province pubblicano su internet, dove rendono noti i danni stimati sulla base delle richieste di risarcimento presentate dalle imprese agricole, ma anche questa strada, tentata da Coldiretti insieme al WWF, ha condotto a risultati parziali in quanto non tutte le amministrazioni hanno pienamente collaborato.

 

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Il primo passo per affrontare il tema sarebbe dunque quello di partire da dati certi, dalla conoscenza e dalla messa in rete delle informazioni che dovrebbero, come previsto dalla normativa in vigore, essere alla base delle stesse decisioni delle amministrazioni.

Risarcimenti per i danni: cosa dice la Legge

L’art. 26 della Legge 11 febbraio 1992 n.157 stabilisce che: “Per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo della fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall’attività venatoria, è costituito a cura di ogni regione un fondo destinato alla prevenzione e ai risarcimenti, al quale affluisce anche una percentuale dei proventi di cui all’articolo 23. Le regioni provvedono, con apposite disposizioni, a regolare il funzionamento del fondo di cui al comma 1, prevedendo per la relativa gestione un comitato in cui siano presenti rappresentanti di strutture provinciali delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e rappresentanti delle associazioni venatorie nazionali riconosciute maggiormente rappresentative. Il proprietario o il conduttore del fondo è tenuto a denunciare tempestivamente i danni al comitato di cui al comma 2, che procede entro trenta giorni alle relative verifiche anche mediante sopralluogo e ispezioni e nei centottanta giorni successivi alla liquidazione (…)”.

 

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Questa legge quadro, alla quale si sono conformate tutte leggi regionali, da un lato si riferisce ai “danni non altrimenti risarcibili”, ma dall’altro non fa menzione di un risarcimento integrale per questi danni. Si limita soltanto a citare “contributi per il risarcimento”, che devono essere elargiti secondo criteri sì prestabiliti ma nei limiti variabili dell’entità dei fondi, per non andare a gravare sulle casse pubbliche di cifre altissime e imprevedibili.

In sintesi è chiaro come la legge italiana, secondo l’articolo sopracitato, non risarcisce integralmente il danneggiato in quanto reputa di interesse collettivo la tutela e la protezione della fauna selvatica.

Cosa fare in caso di danni da investimento di fauna selvatica?

Sempre più di frequente, purtroppo, le pagine di cronaca raccontano di notizie relative ad incidenti stradali causati da fauna selvatica. Se, infatti, alla guida della propria automobile su una strada statale, provinciale o comunale, capita di investire un animale selvatico che improvvisamente ci si è parato davanti o che per evitarlo si sbandi o urti un’altra vettura, esiste la possibilità di chiedere il risarcimento danni.

Chi rimane vittima di un incidente avvenuto a causa di un animale selvatico, ha diritto al risarcimento.

Chi è ritenuto responsabile giuridicamente?

La giurisprudenza ha specificato che per individuare l’ente responsabile, “la Regione è responsabile ai sensi dell’art. 2043 c.c. per i danni provocati da animali selvatici a persone o cose, il cui risarcimento non sia previsto da norme specifiche ed anche in caso di delega di funzioni amministrative alle province […]” (Cass. Civ. n. 3384/2015).

Secondo quanto stabilito dalla legge 968/1977 la fauna selvatica è considerata “patrimonio indisponibile dello Stato”, l’art. 9 della legge 157/92 attribuisce alle Regioni le funzioni di programmazione e coordinamento in materia faunistica, nonché quelle di controllo e protezione delle specie selvatiche. Le Regioni hanno anche il compito di adottare tutte le misure necessarie ad evitare che la fauna selvatica provochi danni a cose o persone.

Come chiarito dalla Cassazione, la Pubblica Amministrazione ricopre una posizione di garanzia nei confronti degli utenti della strada che le impone la c.d. “responsabilità oggettiva”, valida anche se questa non ha alcuna colpa per l’evento. È escluso solo il caso in cui l’automobilista sia a sua volta colpevole del mancato rispetto delle regole di prudenza (Cass. sent. n. 11785/17).

Tuttavia, un’altra pronuncia della Cassazione (Cass. ord. n. 12944/15) stabilisce che la Regione può delegare alla Provincia il compito di gestire la fauna selvatica. In tal caso a risarcire sarà dunque quest’ultima.

 

Come gestire i danni da fauna selvatica?

 

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