E’ Benedetto Manfucci, 81 anni di Apecchio. Salvato da un cacciatore: «Dormiva a terra»

E’ rimasto intrappolato con la sua Panda 4×4 nei boschi di Ca Rio di Cagli, a diversi chilometri dal paese. Ha dormito fuori, all’ad­diaccio, per quattro notti a -5 gradi, senza cibo né acqua, con addosso un maglioncino e un piumino privo di maniche, adatto per la primavera. Rambo era più vestito ed ha resistito meno. Lui si chiama Benedetto Manfucci, detto Betti, 81 anni, pensionato, celibe, coltivatore diretto di Apecchio. Tutta una vita passata a contatto con la natura, che ieri alle 15 gli ha restituito con gli interessi l’amore dimostrato. Perché Bene­detto è stato ritrovato vivo, nemmeno acciaccato, ma solo affamato e assetato. Portato in ospedale a Urbino per controllarne cuore, en­zimi, valori del sangue, stato neurologico, ha chiesto poco dopo ai medici dov’era il foglio da firmare per tornare a casa sua: «Io mi sento bene».

Il che può essere anche vero vista l’eccezionale fibra dimostrata. Perché solo pochissimi potrebbero eguagliare la prova sostenuta suo malgrado da Beni Manfucci, rimasto prigioniero dal pomeriggio di mercoledì scorso con la sua macchina nei boschi tra Acquala­gna e Cagli, dove ci passano una o due persone al mese per cacciare cinghiali o per cercale tartufi. E  proprio qui l’ha trovato ieri Paolo Santi, di Acqualagna, meccanico di auto, cacciatore. Stava risalendo con la sua Jeep un sentiero-mulattiera dove è difficile anche camminare: «Saranno state verso le tre del pomeriggio. Ad un certo punto, vedo davanti una Panda grigia di traverso, sul fosso, come affondata. Ho pensato a qualche tartufaia rimasto in panne che era andato a cercare aiuto ma fatti 100 metri più avanti mi accorgo che c’è una persona stesa a terra, in un fianco. Lo riconosco anche. E Betti e mi torna in mente di aver letto sul giornale che si era perso per i boschi. Esco di corsa dalla macchina e vedendolo così, a terra, senza movimenti, penso per un attimo che sia morto. Lo chiamo, e lui si sveglia subito. Non mi riconosce, è intontito. Mi dice che si è sdraiato davanti a ca¬sa sua, che la macchina è nel parcheggio sotto, e che rimane lì ad Apecchio. Lo sollevo con delicatezza e lo porto verso la mia Jeep. A quel punto, chiamo i carabinieri per dire che ho ritrovato Betti e che vadano ad aspettarmi in basso, al circolo di Ca Rio. C’è voluta una mezzoretta abbandonante per raggiungere il bar con Beni e poco dopo è arrivata la macchina dei carabinieri di Apecchio che lo ha portato in caserma. Fino a quel momento, Beni aveva bevuto una bottiglia d’acqua e mangiato dei pasticcini ».

«IO SONO un cinghialaio — dice Santi — della squadra Sacsaintercisa n.57 e noi in quei boschi ci andiamo per cercare le tracce ma li d’inverno batte poco il sole. E un freddo terribile. Non so chi altri sarebbe sopravvissuto a quelle temperature come ha fatto Betti. Gli ho anche recuperato la Panda, che ho trovato con le portiere chiuse a chiave. E stato difficile rintracciare anche le chiavi perché Betti ce l’aveva in una tasca introvabile. Ho trainato la macchina con la Jeep fino in basso e poi l’abbiamo caricata sul carro attrezzi. Adesso è in officina da me. Devo rifare la frizione perché Betti la rivuole a posto».
LA SCOMPARSA tra i boschi di Benedetto ha mobilitato sei pattuglie di carabinieri della compagnia di Urbino oltre a quattro equipaggi delle forestali e squadre di vigili del fuoco aiutati per giorni dall’elicottero del reparto aereo di Bologna. Giorni di marce in sentieri impossibili in un’area bo¬schiva di 10 chilometri quadrati, facendo tentativi su tentativi per intercettare la cella del telefonino di Benedetto, cellulare che si era purtroppo scaricato in fretta senza che l’8lenne potesse fare una telefonata di aiuto. Lo stesso capitano dei carabinieri di Urbino Renato Puglisi ha parlato di «speranze ridotte al lumicino di ritrovare vivo l’anziano agricoltore. Troppi giorni passati all’aperto, in mezzo ad un bosco, con temperature notturne abbondantemente sotto lo zero. Invece la fibra eccezionale di un uomo, un montanaro d’altri tempi dalla pelle come roccia, gli ha permesso di sopravvivere in maniera quasi spavalda perché eccetto delle escoriazioni alle gambe per aver inciampato in qualche ramo, non presenta altre ferite o patologie. E’ stata una prova eccezionale».

Fonte: Il Resto del Carlino, Pesaro

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